sabato 10 gennaio 2009

Impossibile

Non riusciva più a dormire, e quelle rare volte in cui il sonno si impadroniva di prepotenza del suo corpo e della sua mente, sognava lui, sempre lui.
Lui, che non avrebbe mai potuto avere e che pure non poteva smettere di desiderare. Lui, così vicino ma sempre così distante.
Trovava migliaia di scuse banali solo per passargli accanto, per rivolgergli uno sguardo. Quando non poteva neppure vederlo passava il tempo a pensare a lui, la sua capacità di concentrarsi era quasi del tutto estinta, lui si intrufolava nei suoi pensieri in ogni momento. Non riusciva più a pensare ad altro, non riusciva più a vivere.
Pensava a tutto quello che avrebbe potuto dirgli, e che non gli avrebbe mai detto. A tutto quello che avrebbe potuto fare e non avrebbe mai fatto.
Quando lui era lontano, stava male. La sua sola presenza, uno sguardo, un gesto, anche banale, meccanico, bastavano a modificare radicalmente il suo umore, almeno per quei pochi secondi, poi lui si allontanava e tutto tornava come prima, peggio di prima.
Lui era divenuto il suo centro dell’universo, e non sapeva neppure di esserlo. Non era in grado di interpretare i suoi sguardi, le sue parole. Non poteva cogliere i suoi pensieri. E se mai avesse potuto, probabilmente le cose sarebbero peggiorate, perché sapeva che non avrebbe dovuto provare ciò che provava, che quello che sperava si realizzasse era in realtà impossibile. Se lui avesse potuto sapere…
Ma la situazione era ormai insostenibile, una continua battaglia tra la logica, che sottolineava quanto tutto ciò fosse assurdo, privo di ogni fondamento, e qualche altra cosa indefinibile che si ostinava a perseverare, che impediva anche solo di provare a dimenticarlo. La sua psiche era in condizioni pietose, nei rari momenti in cui lui non impegnava interamente i suoi pensieri non poteva fare altro che maledirsi per aver lasciato che tutto questo iniziasse, ma non c’era nulla che potesse fare. Non più, se mai c’era stata.
Sebbene avesse sempre odiato i gesti estremi, era sempre più incline a pensarci. Dapprima liquidava semplicemente il pensiero come una sciocchezza dettata da un attimo di sconforto, ma man mano che gli attimi di sconforto avevano cessato di essere attimi per divenire la norma, man mano che il pensiero si affacciava con frequenza sempre maggiore alla sua mente, allontanare l’idea era diventato sempre più difficile. Se non poteva averlo, che cosa restava? Nulla, assolutamente nulla, tanto valeva scegliere l’oblio.
Quella mattina svuotò tutti i cassetti, sapeva che in casa, da qualche parte, c’era una pistola, e non faticò a trovarla dopo qualche ricerca. Rimise tutto a posto con grande cura, non voleva che qualcuno si accorgesse di quello che stava per fare, non prima che fosse troppo tardi per impedirlo.
E andò da lui per un’ultima volta.
Attese finché lui non si avvicinò. Si vide rivolgere il suo consueto sorriso, lui non poteva sapere che era l’ultima volta in cui glielo avrebbe rivolto. Non attese neppure che si allontanasse, esplose due colpi in rapida sequenza e l’animatrone nella vetrina andò in pezzi, molle ed ingranaggi gli si sparsero intorno mentre un filo di fumo iniziava a sollevarsi ondeggiando dai circuiti danneggiati.
Ora non avrebbe più potuto essere di nessuno.

5 commenti:

  1. Altro racconto di stampo insolito ma dal "gioco" tipicamente mio.
    Piuttosto vecchio, ma riesco a trovarlo incisivo ancora oggi, strano.

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  2. Molto Asimoniano... :D
    Ricorda un racconto con un chirurgo ed il suo paziente scritto proprio da Asimov!

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  3. Mai letto niente di Asimov (mea culpa), dovrò indagare. ^_^

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  4. NON HAI MAI LETTO NULLA DI ASIMOV???? @.@

    Ommammasaura... mi colpisci al cuore con un picchetto appuntito!!! :(((
    Ti consiglio, per iniziare, "Tutti i miei robot" (http://www.anobii.com/books/Tutti_i_miei_robot/9788804315353/011820d1a953a872a3/): un volume antologico veramente ricco ed interessante!
    Non te ne pentirai!!!

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  5. Eeeehhhhh... lo so, lo so... devo colmarla questa lacuna... -__-

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