giovedì 2 aprile 2009

Stati di Allucinazione

“Allora?”
La domanda giunse tanto improvvisa da fargli sgranare gli occhi, risvegliandolo dal suo torpore. Sollevò la testa e fissò l’ometto calvo e occhialuto che lo guardava dall’alto, poi abbassò lo sguardo sulle proprie braccia, ancora incrociate sulla scrivania, che gli avevano fatto da cuscino fino a poco prima.
“Eh? Cosa?” balbettò.
“Le pare il momento e il posto per dormire?!? – gli urlò contro l’ometto, spruzzando saliva peggio di un irrigatore da giardino – Vuole che la licenzi, per caso?”
“Ma che…? Licenziarmi? E quando mai…?” Sempre più confuso prese a guardarsi intorno. Davanti a lui, su uno schermo LCD, pipistrelli da cartone animato inseguivano una donnina discinta in quello che doveva probabilmente essere uno screensaver. Tutto lasciava pensare che si trovasse in un ufficio… ma a fare cosa? Lavorare? Lui? Ridicolo!
L’ometto, intanto, aveva ripreso a urlare. Lui neanche cercò di capire cosa. Allungò una mano e fece per prenderlo per il collo, ritrovandosi ad afferrare l’aria, perdere l’equilibrio per il troppo slancio e finire dritto in terra, sbattendo la faccia sul pavimento.Si rialzò, e un rivoletto di sangue gli scese dalle labbra.
L’ometto non c’era più. L’ufficio neanche. Ora si trovava di fronte a una grande lavagna nera, e una donna asciutta e segaligna con un paio di occhialetti a punta lo fissava con aria torva, agitando una bacchetta.
“Ha intenzione di venire all’interrogazione o no?”
Mentre si rialzava, la guardò con occhi fiammeggianti, che non parvero suscitare in lei la benché minima reazione.
“E si copra! Che diamine! Dove crede di essere?”
A quelle parole, abbassò lo sguardo e notò solo allora di essere praticamente nudo, a eccezione di un paio di ridicoli boxer su cui erano ricamati dei lupetti con un ciuccio in bocca. Senza neanche sapere perché, portò istintivamente le mani a coprirsi le parti basse.
“Ha studiato?” lo incitò la maestra
“No che non ho studiato, che ca…” venne interrotto da una bacchettata dritta sulle gengive. Qualcuno alle sue spalle lanciò un aeroplanino di carta che gli si infilò in un orecchio.
Si voltò di scatto, e nel farlo si ritrovò accidentalmente a infilare il braccio sotto quello di una perfetta sconosciuta vestita di bianco, che si girò e gli mostrò un sorriso a sessantaquattro denti, incurante del suo sguardo allucinato.
Davanti a lui si stendeva la scalinata di una chiesa, con un lungo tappeto rosso sangue che si snodava dall’altare fino a sotto i suoi piedi. Le campane suonavano a festa mentre dall’interno proveniva una musica inconfondibile.
Si rese conto quasi di sfuggita che i suoi boxer erano stati sostituiti da uno smoking impeccabile, completato da un ampio mantello nero abbastanza fuori luogo… no, a ben pensarci era tutto il resto a essere fuori luogo.
“Eh no! – sbottò – Questo è veramente troppo!”
Sfilò il braccio da quello della presunta sposa e fece una sorta di saltello, che nelle intenzioni avrebbe dovuto avere ben altro esito, ma che finì solamente per farlo cadere di nuovo faccia in terra.
Quando si risollevò, la testa gli faceva male e gli sembrava che tutto il mondo gli stesse girando attorno. Se non altro, però, era un mondo che conosceva.
Si stropicciò gli occhi, cercando poi di rimettere a fuoco… le pareti erano quelle del suo castello, la sua bara era lì a due passi. Sospirò di sollievo.
“Mai più, giuro mai più mangiare con uno sconosciuto senza prima un esame del sangue, tossici del piffero!”

1 commento:

  1. Altro racconto scritto per un contest amichevole sul forum del sito BraviAutori.
    In questo caso il vincolo era il titolo pre-assegnato (che è il titolo di un film del quale neppure sospettavo l'esistenza, onestamente ^__^;)

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