domenica 5 aprile 2009

Influenza

«ET-CCCIUUUU !!!» il suono rimbombò nella stanza come un colpo di artiglieria, e la testa di Jack prese a pulsare allo stesso ritmo. Il ragazzo tentò di riprendere fiato, ma venne interrotto da un improvviso accesso di tosse secca e fastidiosa che lo lasciò sfiatato e ansimante.
Si avvolse più stretto nella coperta che aveva addosso, rinunciando perfino ad asciugarsi le lacrime che gli scendevano dagli occhi per non doversi scoprire le mani. In qualche modo riuscì a prendere il telecomando senza abbandonare il rifugio della coperta, e accese la televisione.
“… mia di influenza sta propagandosi a macchia d’olio nel continente. – stava dicendo lo speaker del telegiornale mentre sul video scorrevano scene di repertorio di gente messa non molto meglio, se non peggio, di Jack stesso – Finora i trattamenti antibiotici si sono dimostrati…”
La porta alle spalle di Jack si spalancò di botto calamitando la sua attenzione.
“Buongiorno!” annunciò sua madre entrando, con l’aria di chi ha appena vinto la lotteria, un sorriso da orecchio a orecchio. Lui si chiese cosa mai ci fosse di buono in quel giorno, e rispose con un mugugno incomprensibile.
“Come ci sentiamo oggi?” chiese ancora sua madre, usando il plurale come se condividesse le sue sofferenze.
“Bale.” bofonchiò lui, ma la donna era passata oltre e non lo stava ascoltando. La osservò con terrore mentre si avvicinava alla finestra e la spalancava.
“Ba babba! – protestò, odiando ogni singolo suono nasale che si ritrovava a emettere – Io sdo bale!”
“Quante storie! Se non fai cambiare un po’ l’aria non guarirai mai!” lo zittì sua madre, scaraventandosi poi fuori dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Jack sospirò, cosa che non gli riuscì troppo bene, e si obbligò a scendere dal letto per andare a porre rimedio alle strane idee della madre.
Però non mi era parsa tanto ottimista quando ce l’aveva lei l’influenza – pensò mentre strisciava i piedi verso il lato opposto della stanza. Era quasi giunto quando inciampò nella coperta, che si era guardato bene dal togliersi di dosso, e finì lungo disteso in terra. Fece per rialzarsi e prese in pieno con la nuca il vetro aperto, rimbalzando indietro come uno strano incrocio tra una palla e un sacco di patate.
“Ba porga biseria!” imprecò mentre si metteva a quattro zampe per poi tornare in piedi con maggior cautela.
Chiuse la dannata finestra e se ne tornò al letto, su cui si sedette nuovamente.
“… tempo, alcuni soggetti hanno per…” diceva il giornalista un attimo prima che Jack cambiasse canale. L’immagine sullo schermo venne sostituita da quella di un affarino peloso che litigava con un serpente grosso il doppio di lui. Jack ebbe il tempo di sentire “… la mang…” prima di decidere che quella trasmissione non faceva per lui e cambiare nuovamente.
Al posto degli animali apparve una strana animazione, una specie di ameba che veniva assalita da qualcosa che assomigliava a un modulo per l’atterraggio lunare appena abbozzato. “… i virus sostituiscono il DNA delle cellule con…”
Jack si affrettò a cambiare di nuovo, ritrovandosi a osservare una Nicole Kidman in evidente stato alterato che cercava di rapire un bambino. Aveva già visto quel film e non aveva alcuna voglia di rivederlo, per cui spense la televisione e si voltò verso il comodino per prendere il bicchiere e bere un sorso d’acqua.
La prima parte si rivelò facile, la seconda impossibile, perché il bicchiere era vuoto.
“Uff!” sbuffò Jack – almeno quello gli riusciva ancora – e si alzò per andare a prendersi da bere di sotto. Questa volta fece attenzione a sollevare a sufficienza la coperta prima ancora di girare attorno al letto e imboccare la porta. Scese uno scalino alla volta e arrivò a pochi metri dalla porta della cucina quando sentì delle voci provenire proprio da lì, e si bloccò non riuscendo a riconoscerle.
“Quanto credi che gli ci vorrà?” sentì dire da una voce femminile e arrotondata, che gli ricordava molto quella di sua madre, ma al tempo stesso non era la sua.
“Non molto ancora. Un giorno o due e poi anche lui sarà completo.” rispose quello che era evidentemente un uomo. Non suo padre, a meno che non gli si fosse improvvisamente modificata la laringe, ma pure non tanto diverso da lui.
Cercando di non fare rumore, Jack fece qualche altro passo e azzardò un’occhiata oltre lo stipite della porta, tenendosi il più possibile nascosto. Quello che vide, per poco non lo fece saltare indietro, e a stento riuscì a trattenere un grido.
Due… creature, non c’era altro modo di definirle… si trovavano nella sua casa. Avevano pelle verde e squamata, come quella dei serpenti, occhi gialli e sporgenti, con pupille verticali a fessura e… indossavano i vestiti dei suoi genitori!
Gli esseri non parvero accorgersi di lui, e continuarono la loro conversazione.
“Sicuro che stia andando tutto bene?”
“Certo, ha tutti i sintomi, la trasformazione è già in atto ormai. Una volta che tutto il suo DNA sarà stato risequenziato…”
Jack si perse il resto della frase cercando di comprendere il senso di ciò che aveva sentito. Parlavano di lui? Possibile che quelli fossero…
I suoi ragionamenti vennero interrotti da una familiare quanto fastidiosa sensazione di prurito al naso. Di tutti i momenti in cui avrebbe potuto succedergli…
Prese a indietreggiare, cercando di trattenere lo starnuto il più possibile.
«ET-CCCIUUUU!!!»
SBAM!
Senza essere troppo sicuro di come fosse accaduto, si ritrovò a perdere l’equilibrio e atterrare di sedere sul pavimento. La caduta fu attutita dalla coperta, ma il vero problema era un altro, e non tardò a presentarsi. I due rettili umanoidi, infatti, sbucarono fuori dalla cucina un istante dopo… solo che non erano più rettili umanoidi, ma semplicemente i suoi genitori.
“Jack!” lo apostrofò la madre
“Stai bene?” gli chiese di rimando il padre
“Che è successo?”
“Ti sei fatto male?”
“Se volevi qualcosa potevi chiamarmi.”
L’improvvisa ondata di attenzioni era fin troppo sospetta perché Jack non percepisse che qualcosa non andava. Certo… anche l’aver visto i mostri rettiliformi in cucina era un indizio da non sottovalutare.
“Io… io…” prese a bofonchiare lui, cercando con lo sguardo il bicchiere che gli era sfuggito di mano. Lo individuò poco distante da lui; era atterrato su un angolo della coperta, che lo aveva salvato dall’andare in frantumi. Lo afferrò come fosse stato un salvagente in un mare in tempesta.
“Aggua! – esclamò – Ero sceso a breddere dell’aggua.”
“Dammi, te lo riempio.” replicò quella che sembrava sua madre, allungando una mano verso il bicchiere… o forse verso il suo braccio.
“Do, do, vaggio io.” rispose lui, indietreggiando per rialzarsi con le spalle alla parete.
Strisciò verso la cucina restando rasente al muro, e senza mai togliere gli occhi di dosso ai due finti genitori, che per conto loro si scambiarono alcune occhiate indecifrabili. Raggiunse il lavandino e aprì il rubinetto, iniziando a riempire il bicchiere con esasperata lentezza. Il suo sguardo dardeggiava ovunque nella stanza mentre tentava di decidere il da farsi. I due mostri erano ancora fermi sulla soglia.
All’improvviso, in un lampo di ispirazione, lasciò cadere il bicchiere nel lavello, sfilò un coltello dal ceppo poco distante e si diede a una fuga disperata in direzione della porta che dava nel cortile. Stava per afferrare la maniglia quando si ritrovò improvvisamente di fronte il rettile con gli abiti di sua madre.
“Dove stavi cercando di andare?” sibilò questo facendo saettare tra le labbra la sua lingua biforcuta, ogni pretesa di apparire umano oramai abbandonata.
Jack non si perse d’animo. Sollevò il coltello e lo piantò a fondo nel petto della creatura, facendone sprizzare del sangue verdastro che gli impregnò il pigiama. Si ritenne fortunato per non poterne sentire l’odore, immaginando che dovesse essere davvero disgustoso.
Due zampe artigliate gli afferrarono il polso, ma il sangue lo aveva reso abbastanza viscido da permettergli di sfuggire alla presa e sferrare una seconda coltellata, stavolta in uno degli orrendi occhi gialli del rettile, che si afflosciò al suolo come un sacco vuoto.
Per un attimo, Jack aveva dimenticato il secondo mostro, che immediatamente gli fu addosso. Ruotando su sé stesso meglio che poteva, il ragazzo lo ferì a un braccio con un veloce fendente, ma un istante dopo sentì un colpo al petto e si ritrovò a volare verso una parete. Ebbe appena il tempo di registrare che il mostro morto aveva nuovamente assunto le fattezze di sua madre prima di urtare violentemente la testa contro uno dei pensili della cucina e precipitare nel buio più assoluto.

Quando riaprì gli occhi stava fissando il pavimento. Quello della sua camera da letto.
Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di capire come fosse arrivato lì. La nuca gli faceva male, e così anche il petto, ma questa non era una grossa novità visti i frequenti accessi di tosse.
Tentò cautamente di rialzarsi. Uno spiffero freddo proveniente dalla finestra aperta gli soffiava sulla schiena, mentre una voce distorta parlava dal lato opposto della stanza. Ci mise qualche secondo a capire che si trattava della televisione.
“… lo stadio più acuto della malattia ha portato alcune vittime a soffrire di allucinazioni e perdere la cognizione dello spazio e del tempo, alcuni soggetti hanno perfino affermato di aver vissuto uno sbalzo temporale, tornando a loro dire indietro nel tempo di diversi minuti…”
Jack si rimise in piedi e chiuse la finestra, poi si tastò la nuca, trovandovi un bernoccolo in formazione. Era stato il pensile della cucina o l’anta della finestra a causarglielo?
Si guardò intorno, constatando che tutto era normale nella stanza. Il suo pigiama, per quanto possibile, era pulito; non c’erano tracce di sangue, né suo né dei mostri. Il bicchiere, vuoto, era al suo posto sul comodino.
Incerto, raggiunse la porta, la aprì e si affacciò.
“Babba?” chiamò
“Sì Jack, ti serve qualcosa?” gli rispose dopo qualche istante la voce della donna dal piano di sotto.
“Uh... do, do, diedde.” bofonchiò lui in risposta.
Possibile che si fosse sognato tutto quanto?
Al telegiornale avevano parlato di allucinazioni in effetti...
Ritornò a letto e si infilò sotto le coperte. Forse avrebbe fatto meglio a cercare di dormire.
Certo che tra la febbre e la botta il suo cervello gli aveva giocato veramente un brutto scherzo – pensò mentre scivolava nel sonno – sicuramente era rimasto influenzato dalla scene che aveva visto in televisione poco prima, tra serpenti, DNA e invasioni di alieni che sostituivano gli esseri umani.
Sì... non poteva che essere così... le scene che aveva visto... dopo aver chiuso la finestra...

1 commento:

  1. Un raccontino in effetti abbastanza stupido ispirato dal mio megaraffreddore della scorsa settimana (pensato e iniziato a scrivere mentre ancora ce l'avevo, ergo decisamente delirante ^__^;)

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