lunedì 9 febbraio 2009

Ritorno a Casa

Quando lasciò l’aeroporto, l’idea di tornare finalmente a casa era divenuta qualcosa di più concreto del miraggio che era stata fino a poco prima di atterrare.
Era talmente concentrato su quell’unico pensiero da passare indenne attraverso la confusione che lo circondava, notandola a malapena, proprio lui che non aveva mai sopportato la calca e la ressa. Ma era rimasto lontano per così tanto tempo da non riuscire a concentrarsi sul presente più di quanto gli servisse per avanzare verso l’uscita. Nella sua mente già viveva la fine del suo viaggio, l’incontro con sua moglie, con le bambine, inclusa Sarah, la più piccola, di cui gli sembrava di essersi perso tutte le fasi più importanti della crescita.
A ben pensarci, la sua mente era altrove a tal punto che si poteva considerare un miracolo il fatto che non avesse ancora investito nessuno camminando verso le porte automatiche, e fu ancora più miracoloso il fatto che riuscisse a fermarsi quando queste, inaspettatamente, gli si chiusero a un centimetro scarso dalla faccia, riaprendosi poco dopo e permettendogli infine di uscire, incrociando qualcuno che arrivava dal lato opposto, probabilmente in procinto di partire o, forse, di tornare a casa anche lui.
Raggiunse la strada e cercò di fermare un taxi. Quando partiva per lavoro, di solito, lasciava l’auto nel parcheggio custodito dell’aeroporto, ma per un’assenza lunga come quest’ultima sarebbe stato impensabile. Un vero peccato, perché in caso contrario sarebbe già stato sulla strada, nel relativo conforto dell’abitacolo, piuttosto che fuori, in una giornata insolitamente fredda per la stagione, a cercare inutilmente di farsi notare da un tassista dopo l’altro.
Dopo l’ennesimo fallimento, decise di prendere la metropolitana. La fermata non era vicinissima a casa sua, ma era comunque molto più vicina di dove si trovava in quel momento. Oltretutto non si sentiva affatto stanco, e fare due passi non gli avrebbe certo fatto male.
Salì sul vagone con la fastidiosa sensazione di aver dimenticato qualcosa, che lo accompagnò per tutto il tragitto senza che riuscisse a focalizzare di cosa si trattava, ma la cancellò dalla mente non appena riemerse dal sottosuolo, respirando l’aria familiare delle strade attorno alla sua abitazione, riconoscendo vicoli e insegne come vecchi amici che non vedeva da tempo. Fu solo quando fu ormai a metà strada dal suo appartamento che si rese conto di non aver comprato il biglietto. Quasi non riusciva a capacitarsene, ma ormai era troppo tardi per rimediare, e anche in caso contrario non sarebbe tornato indietro, non adesso.

Mettere piede sul vialetto fu come ritrovare all’improvviso qualcosa che aveva perduto da troppo tempo. Rimase per un istante fermo ad osservare l’esterno della sua casa, quasi incredulo di essere finalmente tornato, riluttante a fare quei pochi passi che lo separavano dalla porta come se, arrivato lì, avrebbe potuto improvvisamente scoprire di aver solo sognato, e risvegliarsi in una delle tante camere d’albergo che avevano costituito il suo rifugio notturno per troppo tempo.
Vinse la sua ritrosia e proseguì per la breve distanza che ancora lo separava dalla sua destinazione finale. Solo allora si frugò in tasca, scoprendo di non avere con sé le chiavi. La cosa non lo preoccupò, aveva smesso di portarsele dietro ogni giorno visto che non ne aveva bisogno, e probabilmente le aveva lasciate nella valigia senza pensarci. Del resto non era un grosso problema, gli sarebbe bastato suonare il campanello.
Era già al terzo tentativo quando realizzò due cose: che nessuno sarebbe andato ad aprirgli, e che la porta, in realtà, non era chiusa, ma solo accostata. La preoccupazione per ciò che poteva essere accaduto lo spinse a entrare di corsa senza neppure fermarsi a riflettere. Se qualcuno era entrato in casa… un ladro, un rapinatore… Dio non volesse uno psicopatico di qualche genere… avrebbe potuto essere ancora lì, ma la cosa sul momento non gli sfiorò neppure la mente. E non avrebbe fatto differenza. In casa non c’era nessuno.
Esplorò una dopo l’altra tutte le stanze, fino alla sua camera da letto, al piano di sopra.
Il letto era sfatto, la stanza in disordine. Una camicia da notte era stata gettata in un angolo, e il piccolo televisore di fronte al letto era acceso. Un notiziario ripeteva incessantemente la notizia del giorno.
La luce dello schermo gli si rifletté sul volto, distorcendogli i lineamenti. Immagini che aveva già visto, senza però registrarle nella memoria, perso com’era in quel suo unico, soverchiante desiderio di tornare. Un desiderio che aveva realizzato fin troppo bene.
Scorse tra la folla inquadrata dai giornalisti il volto di sua moglie. Le bambine erano probabilmente dai nonni. Poi lo schermo mostrò nuovamente i rottami fumanti dell’aereo che si era schiantato sulla pista di atterraggio. Nessun superstite.
Avrebbe voluto tornare lì, cercarla, dirle che era tutto a posto, che lui era tornato a casa.
Ma lei non lo avrebbe sentito.

5 commenti:

  1. Un raccontino abbastanza banale scritto per un concorso. È la classica ispirazione lampo, anche se a un certo punto mi ero bloccato nello scriverlo.

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  2. Sì, vero, peraltro appartiene a un periodo in cui ho scritto un paio di pezzi abbastanza funerei (senza peraltro alcun vero motivo, non ero particolarmente funereo io quando l'ho fatto).

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  3. Bella...solo alla fine si capisce la tragica realta'. Complimenti CMT.

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  4. Sono ancora vivo!
    Sono rimasto indietrissimo con la lettura ( e con il resto della mia vita, anche =.=")... spero di recuperare in giornata!

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