sabato 16 luglio 2011

Out Of Memory

Aprì gli occhi in una strada sconosciuta. Per qualche istante si guardò intorno, disorientato. Poi, d'istinto, abbassò lo sguardo sulle mani che teneva protese in avanti senza comprenderne la ragione. Pallide, affusolate, con una lieve peluria scura sul dorso. Erano le sue mani. Il sangue che le macchiava, però, non sembrava essere il suo.
Non aveva ferite, per quanto gli era possibile notare a una prima ispezione. Qualche ammaccatura al più, nulla che sanguinasse.
E continuava a non sapere dove fosse. La strada era un vicolo cieco, illuminato a stento. In fondo un cumulo di spazzatura abbandonato, più vicine delle schegge di vetro e una sedia a rotelle di foggia antica, con una ruota che girava pigra cigolando appena.
Non si chiedeva come il suo corpo fosse arrivato lì, sarebbe stato inutile. Quello che non capiva era come vi fosse giunta la sua mente.

L'ingresso riservato ai dipendenti era in genere più trafficato di quello aperto al pubblico, che in effetti veniva utilizzato molto di rado. Anche arrivando con oltre un'ora di ritardo, Joe si ritrovò a incrociare parecchi dei suoi colleghi in entrata o in uscita. La prima volta che gli era successo li aveva ingenuamente salutati, ricevendo in cambio sguardi sorpresi ed espressioni imbarazzate. Non aveva impiegato molto a comprendere l'errore, e si era ben guardato dal ripeterlo.
Superata la prima porta, si rivolse all'uomo dietro il banco della sorveglianza con un saluto e un sorriso. Con lui quel genere di problemi non si applicava.
«Buongiorno Joe. Fatto tardi oggi?»
Lui gli mostrò il tesserino, che subito venne registrato dal rilevatore di accessi.
«Ah, visita periodica. Tutto bene?» chiese l'uomo. La domanda era retorica, i risultati erano già apparsi a video sul suo terminale assieme all'autorizzazione all'ingresso.
«Tutto nella norma, grazie.»
«Mi fa piacere. Sei uno dei pochi che è arrivato alla decima.»
Joe fece una smorfia. «Perché? Gli altri che fanno, muoiono prima?»
«Cambiano lavoro.»
Joe si strinse nelle spalle, sorrise e si avviò lungo il corridoio. Non aveva problemi col suo lavoro, perché cambiarlo?
Raggiunse la sua stanza, si tolse la giacca e la appese nell'angolo nascosto, poi passò una mano sul sensore per attivare le webcam e si sedette sul divanetto al centro, attivando i controlli per il riproduttore audio.
Quella parte, starsene lì in mostra e in attesa, era in effetti un po' noiosa, ma in genere impiegava il tempo leggendo o ascoltando musica. Di solito comunque non doveva aspettare a lungo prima che gli venisse segnalata la connessione di un cliente. Era un bel ragazzo, si teneva in forma e aveva un'espressione amichevole. Nonostante le previsioni, le richieste non gli erano mai mancate.

«Vedo che non ha firmato la liberatoria per le attività sessuali.»
Joe guardò l'esaminatore e si strinse nelle spalle. «Preferisco evitare.»
«Certo, è una sua scelta, ma devo avvertirla che questo ridurrà i potenziali clienti, e se non dovesse soddisfare i requisiti minimi...»
«Posso sempre ripensarci se vedo che le cose non vanno bene, giusto?»
«Sì, ma comunque avrà poco tempo per raggiungere la quota mensile.»
La risposta fu un'altra alzata di spalle condita da un sorriso.
«Come vuole. Ha già un backup?»
Joe lo guardò sorpreso «Credevo non servisse.»
«È solo per risparmiare tempo, gliene faremo uno prima che inizi in modo da dover fare solo aggiornamenti sul momento. Ai clienti non piace dover attendere troppo prima dell'upload.»
«Immagino», rispose lui, che in realtà non immaginava ma si sentiva in dovere di dire qualcosa.
«Vedo che non ha esperienze precedenti di condivisione.»
Joe fece un cenno negativo con la testa. Chissà poi perché la chiamavano "condivisione", visto che non si condivideva nulla. "Affitto" forse avrebbe avuto più senso.
«È un problema?» si decise a domandare.
«Dovrà dirmelo lei tra una settimana o due, ammesso ovviamente che abbia avuto dei clienti.» Il ragazzo si trattenne dal fare un plateale segno di scongiuro. «Può essere disorientante, non tutti si sentono a loro agio.»
«Mi hanno detto che non ci si accorge di niente.»
«Infatti, è proprio quello il problema. Comunque sia, benvenuto alla BS signor Lang, ci auguriamo che resterà tra noi a lungo.»
"Ammesso ovviamente che abbia dei clienti", pensò lui, ma evitò di dar voce al commento.

Doveva essere successo qualcosa, qualcosa di grave, ma cosa?
L'unico modo per saperlo era tornare alla BS e far verificare i log. Privacy o non privacy avrebbero dovuto farlo, di fronte a un'anomalia tanto evidente. Il problema era come arrivarci se neanche sapeva dove si trovava.
Si specchiò nel vetro di un portone. Oltre alle mani aveva anche il viso chiazzato di sangue, e così gli abiti, una maglia e un paio di jeans che sembravano suoi ma non ricordava di aver indossato. Girare per strada in quelle condizioni era escluso, lo avrebbero arrestato senza dargli la possibilità di spiegare nulla.
E del resto cosa poteva spiegare? Non aveva idea di cosa fosse accaduto, e lo scarico di responsabilità serviva a poco se non poteva provare di non essere in possesso del suo corpo. Nessuno gli avrebbe creduto se avesse detto di esservi tornato fuori dalla BS. Non ci credeva del tutto neppure lui.
Un lieve ronzio lo distolse dai suoi pensieri. Una ronda stava avvicinandosi all'imbocco del vicolo e lui se ne stava lì in bella vista.
Senza riflettere su quello che stava facendo, corse verso la sedia a rotelle, la rimise in piedi, premette quello che sperava fosse il freno e vi salì sopra, guadagnando il mezzo metro necessario ad aggrapparsi alle sbarre del balcone più vicino alla strada.
Si sollevò per metà, poi l'attrezzo infernale, che a quanto pareva non era stato frenato affatto, gli corse via da sotto lasciandolo sospeso e rischiando di farlo finire in terra.
Imprecò in silenzio, fece uno sforzo e si issò oltre la ringhiera. Non aveva bene idea di come entrare, ma non dovette riflettere a lungo: il vetro del finestrone era rotto, grosse schegge gli scricchiolarono sotto i piedi non appena si calò dall'altro lato.
Si voltò a guardare la strada. C'erano vetri anche lì, ora erano nascosti dal crepuscolo ma ricordava di averli visti. Che qualcuno avesse sfondato proprio quella finestra?
La situazione sembrava diventare più complicata. Se avesse saputo che un giorno sarebbe finito così, non avrebbe mai risposto all'annuncio.

«Che significa 'condivisione corporea'?»
Mara sollevò lo sguardo dal giornale da cui aveva appena declamato a voce alta una delle offerte di lavoro.
«Sai, a volte mi chiedo in che mondo vivi Joe.»
«A volte me lo chiedo anche io, ma questo non risponde alla mia domanda.»
«Significa che la gente paga per scaricare la loro mente nel tuo corpo e usarlo per un po'. Paga bene.»
«Il mio corpo? E che se ne fa?»
«'Tuo' per modo di dire, paga per usare il corpo di qualcun altro. E ci fa un po' di tutto: scalate, immersioni, cose che coi loro corpi non potrebbero fare, insomma. Questa però è una ditta per condivisioni a breve termine, quindi immagino che al massimo andranno a fare scena da qualche parte... o a letto con qualcuno.»
«Cioè dovrei permettere a qualcuno di usare il mio corpo per fare sesso con chi gli pare?»
«Non lo so, magari no, vai e chiedi. O visita il loro sito.»
«Ma... intanto che loro usano il mio corpo io che faccio? Sto lì a guardare?»
«No, tu sei fuori. Quando hanno finito vieni ricaricato. Ma davvero non lo sai?»
Joe scosse la testa.
«Hai presente i backup cerebrali?»
«Sì. Li fanno i ricchi per garantirsi contro i danni al cervello.»
«Be', è la stessa cosa. Ti fanno un backup e poi ti riscrivono il cervello con quello del cliente. Quando lui restituisce il corpo, ti reinstallano il backup. Nel frattempo tu non ci sei e basta, un po' come se dormissi.»
«E perché qualcuno accetta di... condividere il suo corpo.»
«Perché lo pagano.»
«Tutto qui?»
Mara girò il giornale perché potesse vederlo anche lui, puntando il dito verso lo stipendio base dichiarato nell'annuncio.
Joe si piegò in avanti, per un attimo senza capire cosa dovesse leggere. Poi focalizzò lo sguardo sulla cifra.
Tutto quello che disse fu: «Ah!»

L'appartamento era rischiarato da una debole luce. L'interno era piuttosto squallido, scarsamente ammobiliato: una libreria disadorna, una sedia, una piccola scrivania. Su quest'ultima, uno schermo 3D collegato a un'interfaccia neurale di ultima generazione spiccava come una nota stonata in quella sinfonia di frugalità.
Era lo schermo l'unica fonte di illuminazione. Joe lo guardò di sfuggita e la data, in alto a sinistra, lo colpì: 16 Gennaio 2029. Se era corretta, perché lui ricordava come ultima cosa di essere andato a lavoro il 15? Non poteva essere un suo errore, una data come quella ormai era semplice da ricordare.

«Può rivestirsi», lo informò il dottore mentre rimuoveva l'ultimo dei sensori dalla sua fronte.
Joe eseguì in silenzio. La visita era stata lunga ma non troppo sgradevole, solo una serie di esami diagnostici non invasivi. Aveva passato di peggio.
«Quindi è tutto a posto?», chiese dopo aver indossato i suoi abiti.
«Fisicamente è abbastanza in forma, e non ho riscontrato niente che possa far pensare che avrà effetti collaterali dalla riprogrammazione cerebrale ripetuta.»
«Possono essercene?», domandò, senza ottenere risposta.
«Ecco, tenga». Il medico gli stava porgendo un tesserino delle dimensioni di una carta di credito. Lui lo prese con scarsa convinzione.
«Che devo farci?»
«Le servirà a entrare in sede dall'ingresso dipendenti. Contiene i suoi dati personali e l'esito della visita che ha appena fatto. Se salta una visita, il tesserino lo segnala e le verrà impedito di lavorare finché non si rimette in pari.»
«Ogni quanto devo venire a farmi visitare?»
«Finché continua a lavorare alla BS, il 15 Gennaio e il 15 Luglio di ogni anno, senza eccezioni.»
«Anche di domenica e festivi?»
«Anche se gli alieni avessero appena invaso la Terra e la stessero cercando per mangiarla.»
«Perché?»
«Perché lo dico io. E se io non dico che può continuare a lavorare, lei è fuori. Le basta come motivazione?»
«Immagino che mi debba bastare.»

Il ronzio si fece più vicino. La ronda stava entrando nel vicolo, e non era il caso che lui se ne restasse lì a rimuginare.
Sulla moquette consumata si vedevano due tracce scure andare dal balcone fino alla porta della stanza. Joe le seguì senza calpestarle, muovendosi a passi lenti come se temesse che qualcuno potesse essere in attesa oltre la soglia per aggredirlo.
Sbucò in un corridoio in penombra, o per meglio dire in un'oscurità smorzata dalla luce proveniente da una porta socchiusa alla sua sinistra. Dove il pavimento era visibile, le due tracce che aveva seguito si rivelavano come chiazze allungate di un rosso bruno, non dissimili dalle macchie che lui stesso aveva addosso.
Qualunque cosa fosse successa doveva essersi svolta lì, e a questo punto sentiva il bisogno di sapere.
Si avvicinò all'ingresso della stanza e si sporse quel tanto che bastava per vederne l'interno. Era occupato quasi del tutto da un letto, poco più che un materasso e una coperta gettati su una rete alla bell'e meglio. Vi giaceva il corpo di una ragazza con la gola tagliata. La coperta era zuppa di sangue, ma ce n'era una pozza sul pavimento che non poteva essere arrivata lì dal letto.
Era da questa che partivano le due strisce dirette al balcone. Joe le seguì ancora una volta con lo sguardo e solo in quel momento si rese conto che stava lasciando deboli impronte rossastre dietro di sé. Eppure era sicuro di non aver calpestato il sangue.
Sorvolando su questo ennesimo mistero, indietreggiò fuori dalla stanza. Aveva lasciato già fin troppe tracce di sé, e non riteneva opportuno continuare a ficcanasare in giro.
A quanto pareva, qualcuno aveva usato il suo corpo per un omicidio, per quanto la cosa apparisse priva di logica. Come sperava di farla franca?

«Primo giorno?»
Joe sorrise all'uomo dietro il banco. «Si capisce subito?»
«No, è scritto qui», replicò questi indicando lo schermo davanti a sé. «Deve attendere un attimo.»
Fu un attimo per davvero. Poco dopo, fece la sua apparizione una ragazza sulla ventina, struccata e sorridente, che avanzò verso di lui a mano tesa. «Joe Lang?»
«In persona.»
«Sono Shirley, responsabile ambientamento. Vieni, ti mostro dove lavorerai.»
La seguì in quella che sarebbe diventata la sua stanza negli anni a venire, per quanto in realtà venisse usata da altri nei suoi turni di riposo. Era un semplice locale pressoché vuoto, pareti azzurrine che circondavano un divano ed erano circondate da piccole telecamere sferiche.
«Quell'angolo laggiù non viene mai inquadrato», gli spiegò Shirley indicando un punto in direzione dell'entrata. «Puoi poggiarci la tua roba, appenderci il cappotto, quello che vuoi. La porta dall'altro lato è il bagno, se devi andarci usa il sensore vicino all'ingresso per metterti in pausa, non lasciare mai la stanza vuota senza averlo fatto. Sul divano hai comandi per la musica...»
«Ma che devo fare di preciso?», la interruppe lui.
«Niente, stare qui e aspettare. Quando qualcuno ti richiede ti compare un messaggio sullo schermo, lì. A quel punto colleghi i sensori, aggiorni il tuo backup e il cliente fa l'upload.»
«E poi?»
«Poi niente. Quando il cliente ha finito ti riporta qui, attiva il download e appena ha finito il tuo backup viene reinstallato. Non te ne accorgi neppure.»
«E che succede se non mi riporta indietro?»
«Ti recuperiamo noi. Finché sei in condivisione viene tutto registrato nei log. Sono criptati per la privacy ma in caso di necessità accediamo, vediamo dove sei e ti veniamo a prendere. E poi, ovviamente, sappiamo sempre chi ti sta usando e da dove, quindi recuperiamo anche loro.»
«Quindi... tutto quello che faccio da adesso in poi è registrato?»
«No. Quello che fa il tuo corpo da adesso in poi è registrato. Quando sei fuori servizio, o anche quando sei qui in attesa di un cliente, non registriamo nulla. Ma durante la condivisione sì. È per la tua sicurezza. Se qualcuno commettesse un crimine usando il tuo corpo sapremmo subito chi è e cosa ha fatto, non dovresti neanche preoccuparti di giustificarti.»
«E se mi fanno... mi faccio... se subisco dei danni?»
«Ah be', per quello c'è l'assicurazione.»

Era tornato nel corridoio. E ora?
Anche se fosse uscito dalla porta principale era probabile che si sarebbe ritrovato al punto di partenza. Forse la cosa migliore era aspettare lì finché non fosse stato certo che la ronda era andata via, e poi trovare un modo di tornare alla BS e chiarire la situazione.
Forse avrebbe anche funzionato, se in quel momento non avessero suonato alla porta.
Joe si immobilizzò, cercando di non fare nessun rumore. Trattenne perfino il respiro, anche se non era certo che i sensori della polizia fossero così accurati.
Per un istante pensò che se la sarebbe cavata così, forse era solo un vicino che veniva a chiedere una tazza di zucchero, ma poi il campanello suonò ancora, accompagnato da una voce atona «Aprite. Polizia.»
Non per la prima volta da quando si era risvegliato, Joe abbandonò la logica e agì d'istinto. Si rituffò nella stanza dalla quale era entrato, superò con un balzo la ringhiera del balcone e atterrò malamente sulla sedia a rotelle che sembrava quasi volergli dare impiccio di proposito. La spinse via da sé con stizza, senza pensare, e inorridì al contatto della pelle con il tessuto di cui era rivestito il telaio. Era intriso di qualcosa di umido e appiccicoso e, sebbene fosse ormai troppo buio per vedere bene, aveva pochi dubbi su cosa potesse essere.
Si rialzò, zoppicando su una caviglia dolorante. Fece due, forse tre passi, poi una luce lo investì in pieno volto.
«Fermo. Polizia», declamò una voce con l'espressività di un treno merci. Il droide poliziotto fluttuava serafico a meno di mezzo metro da lui, con l'unità antigravitazionale che ronzava sommessamente nel silenzio.

Il pianerottolo era buio, ma in qualche modo riusciva a vedere a sufficienza. Una mano entrò nel suo campo visivo, raggiunse la porta e spinse, non era neppure chiusa.
Nel corridoio la luce era a malapena migliore. Ne arrivava un po' dalla stanza in fondo, e una lama sottile tagliava il buio da una porta semichiusa.
Parve avvicinarsi a quest'ultima, poi cambiare idea. Raggiunse un'altra stanza e la luce si accese senza che avesse fatto nulla, salvo forse pensare.
Era un cucinino con un piccolo piano cottura e qualche pentola appesa a dei ganci sul muro. La sua visione inquadrò un ceppo di coltelli. La mano si protese e ne estrasse uno senza esitazione, poi tornò sui suoi passi, e la luce si spense.
Poco dopo vide aprirsi davanti a sé un'altra camera. Era occupata perlopiù da una scrivania su cui era poggiato uno schermo 3D, ma di fronte a esso c'era una vecchia sedia a rotelle, e lì seduta, se così si poteva dire, una ragazza. Sapeva già che era una ragazza, perché altrimenti avrebbe pensato come prima cosa a una bambola di pezza a grandezza naturale, abbandonata lì perché divenuta inutile.
Le gambe pendevano senza vita, coi piedi storti che si incrociavano. Le braccia erano poggiate sul grembo. La testa ciondolava da un lato, senza nulla che la sostenesse. Gli occhi vitrei fissavano lo schermo, su cui il sito della BS faceva da contorno al video di una stanza vuota. L'immagine venne subito sostituita da uno schermo di stand-by, con l'orario e la data in un angolo e il nulla a fare da padrone nello spazio restante.
Due mani apparvero e afferrarono le maniglie della sedia, spingendola prima in corridoio e poi nella stanza illuminata, accanto al letto intatto che vi si trovava. Una delle due, poi, si ritrasse per un istante, e tornò impugnando il coltello.
Per qualche momento tutto divenne buio. Si udì un rumore indefinibile, un sibilo misto a un gorgoglio, e quando le tenebre scomparvero c'era sangue ovunque.
La scena rimase quasi immutabile a lungo. Il sangue fluiva dalla gola squarciata e la visione tremolava al ritmo dei pochi battiti di cuore residui che continuavano a spingerlo fuori dalle vene.
Le mani tornarono, quasi esitando. Avvolsero il corpo della ragazza e senza sforzo lo adagiarono sul letto. Poi si vide solo il pavimento, attorno alle ruote della sedia, dove il sangue aveva formato una pozza scura. Una mano tirò a sé l'orpello ormai inutile. Sembrava dovesse usare la stessa forza che era stata necessaria a spingerlo fin lì, come se la sua occupante non avesse avuto peso.
La sedia ruotò, o più probabilmente chi la guardava ruotò attorno a lei, per poi essere spinta di nuovo verso lo schermo.
A quel punto, però, la scena parve restringersi, consumarsi lungo i bordi come in un brutto effetto speciale.
«Che succede?», domandò una voce. Nel tono si percepiva stupore, ma anche collera, e delusione.
Il campo si allargò, tornò quasi normale, poi si restrinse ancora.
Con un urlo la sedia venne spinta via, con tale forza da andare oltre il finestrone, romperlo e ribaltarsi contro la ringhiera, precipitando di sotto.
Ora l'immagine pulsava, tornando normale per un attimo per poi restringersi di nuovo, ogni volta più piccola.
La sequenza parve accelerare. Si vide lo schermo, il corridoio, la porta, poi una breve rampa di scale, un portone, e infine un vicolo male illuminato. Scese il buio.

«Ma perché?», domandò Joe. «Se voleva uccidersi perché fare tutto questo?»
«Non poteva uccidersi. Era paralizzata, a stento poteva vivere», gli rispose Shirley. «Ma credo che sperasse di restare nel tuo corpo. Non sapeva che una volta morta lei il collegamento si sarebbe perso e la riprogrammazione si sarebbe cancellata. È per quello che è scattata la segnalazione e ti abbiamo fatto cercare.»
«Per questo non ricordo niente dopo il 15?»
Shirley annuì. «Non ti è stato reinstallato il backup, sei fermo all'ultima reinstallazione. Il tuo cervello si è semplicemente riprogrammato in base a quella. Non si può davvero cancellarlo, sai? Puoi sovrascriverlo ma i dati originali restano lì, solo sepolti.»
«Ma... come...» Non sapeva neppure lui cosa avrebbe voluto chiedere. La ragazza rispose comunque.
«Viveva con un minimo sussidio, assistenza domiciliare saltuaria e uno schermo 3D passato dall'assicurazione. Almeno la sua mente poteva fare qualcosa. Deve aver risparmiato ogni centesimo per permettersi la condivisione, chissà da quanto ci pensava.»
Joe non disse nulla. Aveva passato gli ultimi anni a dare in prestito un corpo a gente troppo annoiata per usare il proprio o troppo pigra per averne cura. In qualche modo aveva rimosso dai suoi pensieri il fatto che potessero esistere persone per cui perfino un corpo funzionante era un lusso.
«Comunque,» riprese Shirley, «l'importante è che sia stato risolto tutto. Non devi far altro che passare dal Dr Marks e farti reinstallare l'ultimo backup, e poi potrai scordarti di tutta questa storia. Sarà come se non fosse mai avvenuta.»
«È proprio necessario?»
Shirley lo guardò incredula. «Non vuoi recuperare i tuoi ricordi mancanti?»
«Non è questo. Penso solo che ci siano cose che meritano più di altre di non essere dimenticate.»

2 commenti:

  1. Una delle mie rare incursioni nella fantascienza, genere in cui di rado mi avventuro.

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  2. Un racconto molto interessante, dal sottotesto inquietante. Inizialmente temevo che si sarebbe messa male per Joe, poi il finale prende una piega dolceamara che mi ha colta di sorpresa. L'ho molto apprezzato, complimenti!

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